Il mondo della scuola e le emozioni degli insegnanti

Tutti sono stati a scuola, quindi tutti ne sanno.

printDi :: 01 aprile 2023 14:30
Parlando di scuola sono tutti esperti, come nel calcio sono tutti commissari tecnici della nazionale italiana

Parlando di scuola sono tutti esperti, come nel calcio sono tutti commissari tecnici della nazionale italiana

(AGR) Autrice Rossella Graceffa

La scuola italiana gode di un’ottima risonanza mediatica, siamo soliti leggere, nelle pagine dei quotidiani, tante notizie non proprio rassicuranti provenienti da quel mondo. Parlando di scuola c’è poi quel fenomeno ben noto durante i mondiali di calcio, sono tutti esperti, sono tutti commissari tecnici della nazionale italiana. Così si commenta, a furor di popolo, sull’inadeguatezza del corpo docenti, sull’inadeguatezza delle strutture, sull’obsolescenza del metodo di insegnamento. Insomma, chiunque si sente legittimato a esporre giudizi, a dispensare opinioni, soluzioni sul come dovrebbe essere un insegnante e come dovrebbe essere la scuola.

Tutti sono stati a scuola, quindi tutti ne sanno. Gli alunni sono vittima di docenti incompetenti, non abbastanza professionali, anaffettivi. Poi… “fanno tre mesi di vacanza!” Ci si domanda, perciò, come mai quei “chiunque” non abbiano la volontà di cambiare lavoro ed andare ad insegnare, tanta esperienza potrebbe essere un grande contributo al miglioramento della scuola! Bene! Quella dell’insegnante è oggettivamente una delle categorie di lavoratori più bistrattata, invidiata e umiliata dall’opinione pubblica, dalla politica e forse anche dagli stessi “addetti ai lavori”.

Oggi si parla molto di emozioni nel contesto scolastico, di alfabetizzazione emotiva, del vissuto degli alunni, non si parla mai però di quello dei docenti. Quasi fosse un delitto parlarne, perché vestono il ruolo del capro espiatorio, che non può dirimersi. È un terreno spinoso che indagherebbe il funzionamento della nostra società al livello sociologico e psicologico, evidenziando ciò che non può e non deve mostrarsi agli occhi dell’opinione pubblica, il ruolo della famiglia e la mancanza di serie politiche sociali, di un sistema educativo che permetta agli individui di crescere. E siamo solo alla punta dell’iceberg.

Cosa pensano gli insegnati del peso e del carico di aspettative posto in loro? Quali sono le loro emozioni, qual è il loro vissuto? Dopo vent’anni nel mondo della scuola, con le “mani in pasta”, con esperienza di insegnamento, coordinamento, gestione delle risorse umane, avrei qualcosa da dire rispetto a questo argomento. Gli insegnanti si sentono e si percepiscono impotenti, frustrati, mai all’altezza delle aspettative, delle esigenze professionali, delle leggi che si modificano ogni anno scolastico. Si sentono incapaci di gestire le dinamiche relazionali tra alunni, genitori, colleghi, dirigenti e coordinatori. Fanno una fatica immane ad adeguarsi alle nuove richieste che il cambiamento impone. Gli ultimi anni sono stati in questo senso devastanti. Chi ancora non era pratico delle nuove tecnologie ha dovuto reinventarsi con la DAD, DDI.. acronimi assurdi, richieste impossibili. Modificare le modalità di insegnamento alla velocità della luce. Non dimenticherò mai il 4 marzo 2020. Come non lo dimenticherà nessuno di noi. Al mondo della scuola è stato chiesto uno sforzo ineseguibile, irrealizzabile, quasi violento. Anche ai nostri ragazzi, ai docenti e alle famiglie. Il senso di inadeguatezza e tutta la fragilità contenute nelle mura scolastiche ha invaso le case delle famiglie, provocando angoscia e malessere per tutti gli attori coinvolti. Quali emozioni dei docenti all’alba di un anno nuovo? Un anno di rivalsa, di rivincita della “presenza”? Le solite oramai provate. Rabbia, tristezza, senso di abbandono da parte delle istituzioni.

Ma poi incontri gli sguardi, scorgi i sorrisi dei bambini, dei ragazzi. Una massa informe, vociante, urlante, piangente, che chiede solo di essere vista, accolta. Incontri i loro occhi e tutto si dipana. Ti ricordi il motivo per il quale hai scelto di essere là. E non è per i tre mesi di vacanza. Diventi superman, ti armi del più bel sorriso e trascorri le tue ore di lavoro con tutta la leggerezza. Cerchi di mettere in pratica le milioni di pagine di manuali studiati in anni ed anni di formazione (che continua ancora), confidando che ciò che fai e dici avrà un peso ed un ricordo indelebile nelle menti e nelle vite di questi piccoli uomini e piccole donne. Quindi basta guardarli negli occhi e tutto passa? Purtroppo, non è così. È un mestiere che deteriora l’anima e la mente. Il senso di responsabilità, il potere che hai e le aspettative, proprie ed altrui, alimentano l’ansia, il senso di inefficacia. È ancora sconosciuta ai più l’incidenza delle malattie psichiatriche nei docenti. I dati ci sono, ma ovviamente non se ne può parlare, non si può non accettare il ruolo di capro espiatorio. Il modo di far funzionare tutto questo sistema c’è, ma passa per un’attivazione di tutte le realtà che lo compongono, la Scuola non sono solo insegnanti e studenti, personale ATA ed amministrativi.

Tutti sono stati a scuola, quindi tutti ne sanno

Tutti sono stati a scuola, quindi tutti ne sanno

La Scuola è parte integrante del tessuto sociale nel quale è inserita e può funzionare solo se c’è un’integrazione reale tra scuola, comunità ed istituzioni. Cooperare per sostenere il benessere dell’organizzazione, di tutte le persone che fanno parte del sistema, insegnanti compresi. Vuol dire occuparsi della riqualificazione di un ruolo, della riqualificazione delle strutture, dell’educazione dei bambini/ragazzi, che non è solo compito della scuola e/o della famiglia, ma della comunità. Vuol dire mettere il sistema nelle condizioni di operare al meglio, con le adeguate risorse e le adeguate persone, evidenziando i problemi, proponendo e mettendo in atto soluzioni. Cari docenti, care famiglie, cari politici. Cerchiamo in convergenza, una quadra. Creiamo un team di lavoro. Co-operiamo. Valutiamo una strada percorribile. Ne va del nostro futuro. E non è un modo di dire.

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