La solitudine. Male moderno?

Come diceva Gaber: la solitudine non è mica una follia. È indispensabile per star bene in compagnia

printDi :: 16 aprile 2023 14:46
Sartre una volta disse “ Se sei triste perché sei solo, probabilmente sei in cattiva compagnia”

Sartre una volta disse “ Se sei triste perché sei solo, probabilmente sei in cattiva compagnia”

(AGR) di Francesca Castellano

Il poeta moderno Giorgio Gaber nella canzone “La solitudine” esordiva cantando: “La solitudine non è mica una follia. È indispensabile per star bene in compagnia”. Questa frase può portarci a molte riflessioni a riguardo, quanto è importante stare prima bene con noi stessi per riuscire a stare bene con gli altri? Chi di noi non si è sentito solo almeno una volta nella vita? Come spesso sentiamo dire, si può essere soli anche in mezzo a una moltitudine di persone, anche nelle caotiche città che caratterizzano i giorni nostri, in cui nessuno ti vede, in cui a volte non si sa a chi chiedere aiuto. Titoli altisonanti ci parlano del nostro momento storico tuonando “La solitudine è il male del nuovo millennio”, ma è davvero un male? E soprattutto, quella che intendono questi titoli è davvero solitudine? Questo è un termine dalle mille sfaccettature, c’è chi in realtà la anela un po’ di solitudine in questa società in cui si viene giudicati male a dir di no all’aperitivo del sabato sera per stare sul divano sotto la copertina a guardare Netflix. In terapia spesso mi capita di sentir dire dai miei pazienti, “ in quel momento mi sono sentito solo”, sono triste perché mi sento solo e vorrei un partner”, ma è davvero della vicinanza forzata di qualcuno che si ha bisogno quando ci si sente soli?

Eccesso di libertà o adeguarsi agli altri?

“Uno fa quel che può per poter conquistare gli altri castrandosi un po’

C’è chi ama o fa sfoggio di bontà, ma non è lui

È il suo modo di farsi accettare di più

Anche a costo di scordarsi di sé ma non basta mai

La solitudine non è mica una follia

È indispensabile per star bene in compagnia

Certo, vivendo insieme, se chiedi aiuto

Quando sei disperato e non sopporti puoi appoggiarti

Un po’ di buona volontà e riesco pure a farmi amare

Ma perdo troppi pezzi e poi son cazzi miei, non mi ritrovo più”

G.Gaber “La solitudine”

Così continua Gaber nella canzone. L’uomo è un animale sociale ed evoluzionisticamente vivere in comunità (come per gli animali) è più utile per aiutarsi, per procacciare cibo e per preservare la prole, così come per difendersi da un nemico che ci attacca.

E se il nemico fossimo noi stessi? Se a volte fuggire la solitudine volesse dire fuggire da noi stessi anche rischiando di annullarci nell’altro?

Sartre una volta disse “ Se sei triste perché sei solo, probabilmente sei in cattiva compagnia”, anche questa frase, seppur dissacrante, potrebbe aiutarci a riflettere; quante  volte ci capita di non esserci simpatici o di mettere in atto comportamenti poco utili per noi?

E se il problema fosse la nostra stessa compagnia? O  anche la mancanza di condizionamenti che comporta la non vicinanza dell’altro, una sorta di “eccessiva libertà” che non siamo abituati a gestire?

Sartre una volta disse “ Se sei triste perché sei solo, probabilmente sei in cattiva compagnia”

Sartre una volta disse “ Se sei triste perché sei solo, probabilmente sei in cattiva compagnia”

Proprio pochi giorni fa ad una paziente che mi portava tutta la sua tristezza per una condizione di solitudine che lei sente imposta dagli altri che non la cercano, stavo per dire: “ Che strategie potresti attuare per uscire da questa condizione che non vuoi ?” E poi ho pensato, ma perché non partire invece proprio dalla persona con cui sta quando è sola: se stessa?

I disturbi della solitudine

In inglese esistono due termini, per indicare due concetti diversi e per certi versi opposti: Solitude  si usa per indicare una scelta di vita, è una scelta di solitudine, di colui che preferisce stare con sé stesso piuttosto che nella confusione. Loneliness  è invece una condizione che non è la conseguenza di una decisione personale, è la solitudine in cui si percepisce l’abbandono, l’isolamento, il rifiuto da parte degli altri o la totale indifferenza.

La solitudine percepita individualmente come positiva, non problematica, è quella dei poeti romantici, dei filosofi o dei monaci, dei passeggiatori solitari, di coloro che in quella solitudine vedono una potenza di libertà, il potere di non essere condizionati da nessuno nelle proprie scelte, anche le banali scelte quotidiane su come passare il proprio tempo libero. Sono persone solitarie, che evitano la compagnia degli altri e da questo traggono forza e vantaggio.

Dall’altra parte c’è la solitudine più diffusa, quella che affligge la società postindustriale, vissuta negativamente perché non percepita come una propria scelta, ma come il non essere visti dagli altri, e quindi sentirsi soli e abbandonati.

Soffermandoci a pensare, quanti disturbi in realtà solo correlati alla solitudine o alla proiezione di sé come solo, inerme, senza via d’uscita? Uno stato patologico fra tutti è l’agorafobia. Il problema dell’agorafobico spesso, non è solo essere lontano da casa o dai luoghi conosciuti e considerati sicuri, ma essere SOLO ad affrontare un luogo sconosciuto, in cui si prefigura di sentirsi male e senza nessuno che lo aiuterà (perché non avrà intorno a sé persone di cui si fida). Quanto si può essere prigionieri del rifuggire la solitudine?

Anche nel caso dell’agorafobico, è paura di essere solo, senza accanto una persona su cui potersi appoggiare in caso di bisogno, o la paura di essere in una condizione di fragilità e non avere gli strumenti per affrontarla da solo? Tutto porta a una visione di bassa autoefficacia e un’immagine di sé di eccessiva fragilità.

Il concetto che andrebbe focalizzato non è scegliere di stare soli, ma anche sceglier di stare con gli altri, che non sia un automatismo. Dovremmo poter scegliere con chi stare, sceglierlo realmente, che sia un partner o il gruppo di persone con cui andare a prendere un aperitivo. Un fattore prioritario dovrebbe essere investire nel creare un rapporto con una persona con cui condividere valori comuni, con cui creare un rapporto di reciproca fiducia, e che non sia solo una compagnia per occupare il tempo o per non essere soli in caso di attacco di panico.

Ultimamente, soprattutto i pazienti più giovani, mi riportano un’idea dell’altro molto negativa, dell’altro che se ne va, inaffidabile, traditore.

Ma davvero la maggior parte delle persone non sono affidabili per stabilire una relazione duratura di qualsiasi sorta, oppure il problema è che spesso ci si sceglie reciprocamente solo per horror vacui, per non lasciare una sedia vuota e per fare aperitivo in compagnia?

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