Mindfulness. L’insostenibile leggerezza del “qui ed ora”
Vivere è la cosa più rara del mondo. Oscar Wilde
(AGR) Di Zaira Bandiera
Molti di voi lettori avranno sentito parlare della pratica Mindfulness: vi sarà capitato negli ultimi anni, soprattutto durante la pandemia, di imbattervi sui social in svariate forme di videolezioni e dirette volte a diffondere, come buona pratica, l’approccio Mindfulness nelle giornate segnate da isolamento e smart working.
Il senso comune la associa allo yoga, alle più comuni tecniche di rilassamento, ma qualora vi capitasse di ad approfondirla e a praticarla, scoprireste che sì, racchiude i principi di quelle discipline, ma è anche molto di più. Proviamo a vederla insieme
Cos’è la mindfulness
L’attività della nostra mente è spesso intensa e frenetica: oggi i ritmi di vita ci costringono ad essere multitasking, con l’illusione che il nostro valore come professionisti/genitori/amici dipenda da quante cose in contemporanea riusciamo a portare a termine. In particolare, dopo i due-tre anni di pandemia, sembra che adesso si debba correre più di prima, con l’illusione di dover recuperare il tempo “perso”: scadenze, urgenze, rientro in ufficio. E sentirsi in affanno e stanchi è una condizione ormai primaria. Siamo proiettati alle mansioni ancora da svolgere nel futuro, ma con uno sguardo, spesso malevolo e giudicante, a situazioni/errori accaduti nel passato. Giudichiamo ciò che deve ancora avvenire e ciò che è ormai avvenuto, cosicchè la mente non è mai lì dove sta il corpo.
Secondo uno studio dell’Università di Harvard la mente si distrae il 46% del tempo, qualunque cosa faccia: il non riuscire a concentrarsi provocava senso di frustrazione nei soggetti dello studio, tanto che i due ricercatori hanno intitolato il loro articolo “Una mente che divaga è una mente triste”. “Sarà questo il motivo- suggeriscono gli autori- per cui molte filosofie e religioni insegnano che la felicità consiste nel vivere il presente, addestrando i praticanti a concentrarsi, a restare “qui e ora” e resistere alle distrazioni”. La mindfulness è proprio la pratica del “prestare attenzione” che ci dovrebbe aiutare a vivere consapevolmente il presente. La mindfulness insegna a prestare attenzione in modo specifico: con intenzionalità, nel momento presente e senza giudizio.
La mindfulness: quando l’oriente e l’occidente si incontrano, affonda le radici nel pensiero e nella teoria buddista. Il nome inglese mindfulness deriva infatti dalla parola Sati, termine in lingua Pali che possiamo tradurre come “consapevolezza” o “attenzione presente e attiva”. In Occidente si diffuse negli anni settanta grazie a Jon Kabat-Zinn, cognitivista dell’università del Massachusetts, che sviluppò una terapia alternativa della “riduzione dello stress basata sulla mindfulness“, per una serie di disturbi spesso difficili da trattare (dolore cronico, stress, ansia, depressione, psoriasi ed altre condizioni croniche)
Nei primi anni Duemila, il concetto di mindfulness è diventato di colpo popolare ed oggi il concetto di “piena consapevolezza” è ufficialmente entrato a far parte degli standard occidentali: nella medicina, nelle neuroscienze, nella scuola, nello sport, nelle aziende e in molti ambiti ancora.
La ragione della trasversalità di ambiti in cui possono essere applicati i principi della pratica Mindfulness risiede nel fatto che è ormai largamente accettato l’indissolubile unicum corpo-mente: fattori psicologici possono contribuire all’insorgenza o all’aggravamento di una vasta gamma di disturbi fisici, ma anche le patologie organiche possono influire sul pensiero o sull’umore della persona. Il Sistema Nervoso, il Sistema Endocrino e il Sistema Immunitario sono in rapporto di stretta interdipendenza e in perenne comunicazione.
Il mio primo accostamento alla Mindfulness avvenne durante gli anni della scuola di specializzazione, il cui percorso prevedeva, tra le lezioni del quarto anno, anche un’introduzione alla pratica ed alle applicazioni su diversi disturbi. Devo ammettere che a quei tempi trascurai alquanto l’argomento, dedita più a corsi di ambito clinico e difficilmente disponibile a “stare nel qui e ora”. Sì perché in questa espressione posso racchiudere il senso di una pratica che dovrebbe in realtà trasformarsi in uno stile di vita, come ho compreso anni dopo praticandola e seguendo corsi.
Il punto è questo: aldilà della teoria, questa è una pratica esperienziale, dunque è necessario impararla sperimentandosi. Nel momento in cui ho iniziato a praticarla ho cercato di impegnarmi per renderla una costante della mia vita. Sembra semplice immaginare di stare “nel qui e ora”, in realtà, almeno per me, è stato un allenamento complesso: ho dovuto allenare la mia mente a dimorare nel tempo presente (e tutt’oggi lo faccio). L’essere mindful implica, infatti, essere consapevoli di come procede la nostra mente in determinate situazioni. In tal senso, la mindfulness aiuta a sviluppare una certa forma di attenzione alle esperienze nel momento presente ed a riflettere sulla propria mente: divenire più consapevole dei pensieri, delle emozioni e delle sensazioni aiuta a prenderne le distanze.
Porre l’attenzione consapevole su ciò che si sta facendo in un determinato momento, aiuta a distinguere i fattori di stress contingenti da quelli immaginati, ovvero quelli che derivano da rimuginii o da preoccupazioni per fatti che si teme avvengano nel futuro. Riuscire a prestare attenzione alle esperienze interne promuove un aumento della consapevolezza, nel senso che produce e rinforza risposte comportamentali più flessibili, efficaci.
Gli ostacoli
Una volta deciso che avrei introdotto elementi della pratica nella mia vita, ho dovuto confrontarmi in primis con la difficoltà nel praticare a lungo termine, poiché impegnarsi ad apportare un cambiamento strutturale nel proprio modo di concepire la mente, richiede tempo ed esercizio. La mente, infatti, è per lo più impegnata nel multitasking, purtroppo è inevitabile, ma prenderne coscienza e quando possibile concentrarsi sul respiro qualche minuto, può essere d’aiuto. La mente giudica, critica e fa autocritica, ma dopo qualche tempo di pratica quotidiana, si può imparare ad inseguire meno tutti quei pensieri: guardarsi per come si è ed accettarsi maggiormente. Si depontenzia così un meccanismo nocivo. Per alcuni potrebbe essere complesso ritagliarsi un tempo congruo per la pratica formale, il seguire schemi e protocolli specifici, ma con riadattamenti personali e ricorrendo alla pratica informale (applicabile ad attività quotidiane che spesso svolgiamo senza consapevolezza: mangiare, camminare, guidare, sbrigare le faccende domestiche…), ci si può dedicare degli spazi utili.
Una lettura mindful come esempio di pratica informale ed anche questo articolo può essere letto in modo mindful.
Ritagliatevi qualche minuto di tempo per mettervi in una posizione confortevole, respirate qualche istante per stabilizzare la mente. Poi iniziate a leggere in silenzio: portate consapevolmente la vostra attenzione sulle singole righe di questo testo, sulle pause, sui punti e a capo. Quando vi distraete, riportate l’attenzione al punto in cui vi siete persi, senza giudicarvi e ripartite da lì. Alla fine della lettura, fermatevi per qualche istante in compagnia del respiro. Se necessario, iniziate a rileggere, stavolta ad alta voce.
Alla fine dedicatevi al respiro e all’ascolto interiore di ciò che, per voi, è emerso dalle due letture.
Buona pratica!