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Le rapine subite dalla Roma non possono più essere considerate bizzarre coincidenze

Venezia-Roma 3-2

printDi :: 08 novembre 2021 00:33
Le rapine subite dalla Roma non possono più essere considerate bizzarre coincidenze

(AGR) Quando l’ineffabile Aureliano, arbitro della sezione di Bologna, ha indicato il dischetto del rigore, l’allenatore del Venezia, Zanetti, era incredulo, anzi di più: sbalordito. Andate a rivedervi il filmato di quei minuti per accertarvene. Sbalordito è la parola giusta e sicuramente calza perfettamente con le sensazioni provate dai tifosi di entrambe le squadre presenti allo stadio ‘Penzo’ e da coloro che hanno seguito la gara attraverso i vari media.

Sbalordimento perché il rigore non esisteva e non esisterà mai: se fallo c’è stato, è stato commesso da Caldara su Cristante e non viceversa: le immagini immortalate dalle telecamere mostrano chiaramente che il veneziano entra a gamba tesa e taglia la strada al giocatore romanista.

 
Non ci interessa sapere quanti gradi di vista ha il signor Aureliano, sta di fatto che questi non si è sentito nemmeno in dovere di andare al var, che avrebbe senz’altro annullato la decisione assegnando calcio di punizione alla Roma.

Bene, questo è stato l’episodio chiave della partita, quello che alla fine è risultato determinante nell’indirizzare la gara verso quell’esito finale, gara che fino a quel momento, siamo intorno al 20’ della ripresa, vedeva la Roma in vantaggio, con un Venezia in evidente inferiorità tecnica che arrancava cercando di imbastire iniziative credibili.

Cosa che non gli riusciva mai, grazie anche ad una Roma che, pur non offrendo uno spettacolo trascendentale, la menava abbastanza bene, gestendo al meglio il vantaggio acquisito nei minuti finali del primo tempo grazie a Shomurodov, 43’, e Abraham, 47’, che rimontava la rete veneziana di Caldara arrivata in apertura di gara, al 3’.

In Venezia-Roma, fermi restando, naturalmente, i meriti della squadra veneziana, alla quale peraltro non c’è che da augurarle tanta fortuna nel prosieguo del campionato, e i demeriti della Roma, tanti, abbiamo assistito ad un arbitraggio vomitevole, tale da far abbandonare gli spalti anche agli appassionati più incalliti.

C’è voluto un gran coraggio da parte non solo dei tifosi della Roma ma anche di quelli di parte avversa, a restare lì ad assistere a quella performance messa in scena da un carneade qualsiasi.

“Bene o male, ma parlate di me!” forse potrebbe essere questa la filosofia del tizio che ha arbitrato la partita. Ma questa è materia psichiatrica. Sia chiaro che siamo qui in veste di giornalisti e raccontiamo ciò che vediamo.

Se la cosa fosse successa a parti invertite, ne avremmo dato conto allo stesso modo. Tra i tanti commenti alla partita ce ne sono stati anche di bizzarri, arrampicate sugli specchi che giustificano la condotta del tizio, ma quelli li lasciamo ai giornaletti gossip, quelli che trovi quando vai dal medico e che sfogli mentre sei lì che aspetti, quelle riviste che magari, igienicamente parlando, in tempi di covid dovrebbero finire nella spazzatura a chiusura studio.

Moltissimi altri commenti, invece, anche autorevoli, non hanno lasciato spazi a dubbi: il rigore non c’era e la cantonata di Aureliano, usiamo un termine eufemistico, ha condizionato l’esito della partita. Tutto normale se l’errore fosse semel in anno licet insanire, o, se preferite, una tantum.

Invece non è proprio così: avendo seguito fin qui il cammino della Roma, a noi risulta che, a conti fatti, alla squadra giallorossa mancano almeno tre punti, volendo tenerci bassi. Tre punti che nel contesto di un campionato durissimo come il nostro, che vede almeno dieci squadre lottare per assicurarsi uno dei sette posti disponibili in Europa - quattro in Champions League, due in Europa League, uno in Conference League -, nel computo finale potrebbero risultare determinanti ai fini della partecipazione della Roma ad uno di quei tre tornei continentali.

Tuttavia, di questo stupro calcistico continuato ai danni della Roma, che dura ormai da cinque giornate e viene portato avanti con irritante arroganza, sono in molti a chiederne spiegazioni e prima o poi qualcuno dovrà renderne conto.

A questo punto, queste reiterate rapine a catena ai danni della Roma non possono più essere considerate un caso, né una coincidenza. Sarà bene che qualcuno, ai piani alti, si decida a cercare di fare chiarezza su questi accadimenti che, stranamente, vanno a colpire sempre la stessa società.

Da parte nostra, non vogliamo neanche per un momento pensare a termini forti come ‘premeditazione’ e ‘complotto’ e imbarcarci in congetture fantasiose. È cosa nota che agguantare un posto in Europa, entrare cioè nel ristretto novero delle squadre europee più titolate, è come fare tombola, sono tanti soldi.

Nominalmente, in Europa ci si arriva avendo a fine campionato un punto in più di chi segue. Per moltissime società significa realizzare un sogno, magari inseguito fin dalla loro nascita. Poi c’è il ristrettissimo numero delle società più titolate d’Europa, quelle tradizionalmente più ricche, quelle che annualmente foraggiano allenatori e giocatori con palate di milioni, che investono forte magari sul giocatore sbagliato, esponendosi quindi a rischi di indebitamento: queste sono le società che, per rientrare dalle esposizioni finanziarie, sono ‘obbligate a vincere’.

Naturalmente, anche per queste società, può succedere che nella corsa all’Europa non tutto fili liscio, che magari arrivi qualche intruso che si permette di mettere a rischio l’obiettivo. Quando ciò si verifica, quando cioè l’intruso comincia a salire pericolosamente in classifica lambendo le posizioni top, accade che a spianare loro la strada verso il Pantheon dell’èlite calcistica europea, intervenga la buona sorte che, data un’occhiata alla montagna di debiti di questa o quella società e accogliendone le pressanti preghiere, al momento giusto, mette i bastoni tra le ruote del concorrente più ostico danneggiandolo in ogni modo possibile: subissandolo di rigori inesistenti, di gialli risibili, di rossi ingiustificati, o magari, se proprio è uno tosto, intaccandone la pazienza invertendo calci di punizione, non concedendo angoli, fermandolo ai venticinque, trenta metri con fuorigioco che non stanno né in cielo né in terra, sorvolando sui fallacci del suo protetto. La bizzarria del calcio fa sì che arbitri scalzacani, mediocri, incapaci, in possesso però del requisito più importante, quello di non conoscere le regole del calcio, capitino a fagiuolo.

                                                                                                                                          

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